|
“Coldiretti
non sta facendo un buon servizio ai suoi associati. Proporre la caccia come
soluzione ai problemi dei danni all’agricoltura vuol dire insistere su una
strada sbagliata e fallimentare che fino ad oggi non ha prodotto alcun risultato, anzi è stata
parte del problema. Se la caccia fosse una soluzione, gli agricoltori
non sarebbero scesi in piazza per chiedere interventi straordinari per
contenere i danni alle colture, visto che da decenni sono centinaia di migliaia
gli animali abbattuti senza che ciò abbia contenuto minimamente i danni, né le
popolazioni stesse di ungulati”.
È questa la tesi con cui il le associazioni ambientaliste (ENPA,
LAC, LAV, LIPU e WWF) rispondono alla manifestazione organizzata da Coldiretti
davanti a Montecitorio. “Esiste un
problema reale e complesso che bisogna affrontare con strumenti seri ed
efficaci e professionisti del settore, non continuando a delegare ai cacciatori
la gestione della fauna italiana”.
Sul territorio italiano (ISPRA 2010) si stima la presenza di
quasi due milioni di ungulati selvatici, in primis cinghiali (900mila),
caprioli (450mila), camosci alpini (120mila) e cervi (60mila). Più contenuta la
presenza di mufloni e stambecchi, e ancor più quella del camoscio appenninico
(meno di 2000). I motivi dell’espansione degli ultimi decenni sono ben noti:
l’abbandono di agricoltura e allevamento in zone marginali, con conseguente
espansione di foreste e boscaglie, ha creato nuovi habitat ed elevata
disponibilità di cibo. Accanto a questi motivi ecologici, si sono sommati
quelli ludici: molte specie sono state infatti ripopolate anche a scopo
venatorio, con il risultato che gli agricoltori lamentano danni alle colture
ritenuti insostenibile. Ma la soluzione c’è, e parte proprio dall’eliminare i
fattori che gonfiano artificialmente le popolazioni di ungulati.
Al primo posto è necessario mettere la parola fine ad ogni pratica legale o meno di ripopolamento e foraggiamento degli ungulati, vietate da
anni per il cinghiale ma che ancora vengono messe in campo per timore che cali
la fauna selvatica a disposizione. A questo si somma il vantaggio legato alle
molte vendite illegali delle carni (che può raggiungere un giro di affari di milioni
di euro ogni anno), grazie alla disponibilità di ristoratori compiacenti e alla
scarsità di controlli sanitari e fiscali. È quindi evidente che il mondo
venatorio non ha alcun interesse a ridurre la presenza di ungulati sul
territorio, perché ne trae divertimento ed utilità. Anzi, la stessa caccia
esercitata in modalità non selettiva, come nella braccata, può far addirittura
aumentare le popolazioni di cinghiali, rimuovendo gli individui di maggiori
dimensioni (gli adulti) con la conseguente riproduzione anticipata degli
individui più giovani, che in presenza degli adulti non si
riprodurrebbero.
Al secondo posto vengono i metodi ecologici, ovvero quelle
modalità di prevenzione e gestione del territorio che riducono la possibilità
di accesso della fauna alle coltivazioni, come recinzioni elettrificate da
installare nei periodi di maggiore vulnerabilità della colture, in particolare
dopo la semina, la comparsa dei germogli o dei frutti maturi. Strumenti
previsti dalla legge come obbligatori e prioritari, raccomandati da ISPRA, ma largamente
ignorati, tanto che il TAR Toscana ha recentemente sospeso la caccia al
cinghiale in braccata. Per la difesa di appezzamenti inferiore all’ettaro, sono
sufficienti poche ore di lavoro e poche centinaia di euro per realizzare
recinzioni elettrificate a prova di cinghiale nei periodi più delicati. Azioni
realizzabili grazie ai relativi fondi messi a disposizione dai Piani di Sviluppo
Rurale cofinanziati dall’Unione Europea, finora scarsamente utilizzati.
Infine, qualora siano ancora necessari interventi puntuali e scientificamente motivati per il controllo delle popolazioni, vanno privilegiate le catture agli abbattimenti
selettivi, e in ogni caso devono essere effettuati esclusivamente da personale
pubblico (ad esempio ex personale delle Provincie) adeguatamente formato a
livello tecnico e scientifico, e in nessun modo in conflitto di interesse
rispetto all’effettiva riduzione dei danni, da valutare e verificare su basi
scientifiche per trovare soluzioni sempre più efficaci.
“Non vorremmo che alcune associazioni agricole, che da sempre
siedono nei direttivi degli Ambiti Territoriali di Caccia e non hanno speso una
parola per l’assottigliamento del personale provinciale deputato alla materia,
continuassero con gli stessi errori del passato senza trovare le soluzioni
adeguate per gli agricoltori che rappresentano errori di cui, oramai, gli stessi agricoltori cominciano a rendersi conto. Solo con un approccio razionale, scientifico e strutturato, senza il ricorso a provvedimenti “spot” o di propaganda, potremo
risolvere davvero e a lungo termine i problemi degli agricoltori, in equilibrio
con la natura e gli ecosistemi”. Come affrontare i danni da fauna in modo corretto Il circolo vizioso del cinghiale Roma, 7 novembre 2019 | |